MASSIME 1. Sussiste l’interesse a ricorrere del gestore uscente del servizio pubblico prima della decisione dell’Amministrazione di procedere all’affidamento in house a una società dalla medesima posseduta indirettamente al 100%, in quanto è un soggetto operante nel settore. L’esistenza del principio di rotazione, infatti, non esclude in radice che in ipotesi di apertura al mercato il gestore uscente possa essere l’unico interessato a gestire quel servizio e quindi l’Amministrazione possa astrattamente rivolgersi nuovamente a lui. 2. La determina a contrarre è ritenuta in giurisprudenza un atto endoprocedimentale e quindi inidoneo a incidere all’esterno su posizioni soggettive dei terzi (Tar Lecce sentenza 2026 del 2014; Tar Trento sentenza 404 del 2016). 3. Dopo l'abrogazione referendaria dell'art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008, è del tutto legittima l’internalizzazione dei servizi pubblici anche di rilevanza economica, essendo venuto meno il principio presente in tali disposizioni della eccezionalità della gestione diretta o in economia per tali tipi di servizio; salva l’applicazione della disciplina comunitaria che, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 325 del 2010), consente agli stati membri di prevedere con determinate cautele la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale. 4. L’affidamento a una società in house totalitaria dell’Ente pubblico realizza una forma di gestione diretta al pari dell’uso di un proprio organo o servizio interno, poiché non v’è alcuna apertura al mercato né per la scelta del socio né per la scelta dell’affidatario (cfr. Tar Brescia sentenza 490 del 2015; Tar Trieste sentenza 629 del 2014; Tar Lazio, sentenza 6457 del 2016). 5. E’ configurabile un controllo analogo anche nel caso di cd. in house a cascata, cioè nel caso di partecipazione pubblica indiretta, in cui il pacchetto azionario non è detenuto direttamente dall’ente pubblico di riferimento, ma indirettamente mediante una società (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo (cfr. Corte di Giustizia UE 11 maggio 2006 C-340/04; Consiglio di Stato parere 02583/2018 sezione prima adunanza del 10 ottobre 2018). 6. Gli impianti sportivi di proprietà comunale appartengono al patrimonio indisponibile dell'ente, ai sensi dell'art. 826, ultimo comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell'interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive. La gestione di tali impianti è quindi connotata da tale irrinunciabile funzione di interesse pubblico e quindi è indubbiamente un servizio pubblico. Ne consegue che tale gestione può essere effettuata dall'amministrazione competente in forma diretta oppure mediante affidamento a terzi individuati con procedura selettiva (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 1172 del 2018), non potendo dirsi violato l’art. 3, co. 27, della legge 244/2007, proprio perché nel caso di gestione di un impianto sportivo attraverso la costituzione di una società in house direttamente partecipata, si tratta appunto di “società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi” che per quanto appena detto sono “strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”. 7. In base al principio del tempus regit actum, la legittimità di un atto va verificata in base alla disciplina vigente al momento della sua adozione. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 307 del 2016, proposto da: contro Comune di San Giovanni Teatino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Costantini, con domicilio eletto presso il suo studio in Pescara, via Firenze, 117; nei confronti S.G.T. Multiservizi S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Presutti, con domicilio eletto presso il suo studio in Pescara, via Firenze, 117; per l'annullamento della deliberazione n.53 del 12 agosto 2016 con la quale il Consiglio Comunale di San Giovanni Teatino ha proposto di autorizzare il sindaco e l'amministratore unico della società S.G.T. multiservizi controinteressata a costituire una società sportiva dilettantistica a cui affidare la gestione della piscina comunale, escludendo la ricorrente dalla predetta gestione; di ogni altro atto e/o provvedimento collegato, presupposto e/o presupponente, Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Giovanni Teatino e di S.G.T. Multiservizi S.r.l.; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2018 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi gli avvocati Stefano Ilari per la società ricorrente, Luca Presutti su delega dell'avv. Carlo Costantini per l'amministrazione comunale, Luca Presutti per la società controinteressata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La ricorrente, già concessionaria della gestione degli spazi d’acqua all’interno della piscina di proprietà del Comune di San Giovanni Teatino fino al 31 luglio 2016, con il presente ricorso impugna la delibera di Consiglio comunale, con la quale si è stabilito di autorizzare il Sindaco e l’Amministratore Unico della S.G.T. Multiservizi S.r.l. (società partecipata al 100% dal Comune di San Giovanni Teatino) a costituire una Società Sportiva Dilettantistica a r.l., con capitale sociale di euro 10.000,00 a sua volta posseduto al 100% dalla medesima società interamente pubblica S.G.T. Multiservizi S.r.l.. La ricorrente denuncia: 1) la violazione del comma 25 dell’art.90 della legge finanziaria 2003 (L.27/12/2002, n. 289), secondo cui: “Ai fini del conseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 29 della presente legge, nei casi in cui l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari. Le regioni disciplinano, con propria legge, le modalità di affidamento”; e del conseguente articolo 2 della L.R.A. n.27 del 19/06/2012, il quale, nel disciplinare appunto le modalità di affidamento di impianti sportivi da parte di enti pubblici territoriali della Regione Abruzzo, all’art.2 dispone testualmente che: “1. La gestione degli impianti sportivi di proprietà degli Enti pubblici territoriali, in assenza di gestione diretta da parte degli stessi Enti, è affidata ai seguenti soggetti: a) associazioni o società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive o agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, iscritte al registro nazionale CONI e che svolgono la loro attività senza fini di lucrro; (omissis). 2. I soggetti affidatari della gestione sono individuati secondo procedure ad evidenza pubblica, sulla base dei seguenti requisiti (omissis): b) radicamento sul territorio nel bacino di utenza dell’impianto, con preferenza per i soggetti che hanno sede legale nel Comune di appartenenza dell’impianto stesso; (omissis) e) anzianità di svolgimento dell’attività in ambito sportivo (omissis)”; e tale disposizione regionale, attuativa di quella nazionale, sarebbe stata violata anche perché la SSD in house in questione, proprio perché neocostituita, non avrebbe il requisito dell’anzianità di svolgimento dell’attività; 2) che il controllo esercitato nel caso di specie “a cascata” non sarebbe sufficiente a essere riconducibile a quello di tipo analogo tra l’Ente e un proprio organo, “non essendo sufficiente che entrambi i soggetti si trovino sotto il controllo diretto e indiretto del Comune”; 3) la violazione dell’art.3, co. 27, della legge 244/2007 (“Finanziaria 2008”), laddove prevede che “Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società…”, norma che sarebbe stata sostanzialmente riprodotta nell’articolo d.lgs. 175/2016; inoltre l’affidamento diretto in parola violerebbe anche il principio di concorrenza, poiché si tratterebbe di servizi di rilevanza economica e quindi potenzialmente aperti al mercato; con l’ulteriore particolarità che nel caso di specie sarebbero state costituite ben due società per la gestione del medesimo servizio in house; 4 ) la violazione dell’articolo 5 comma 1 del d.lgs. n. 175 del 2016, laddove ha previsto che “l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica, anche nei casi di cui all’articolo 17, o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all’articolo 4, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e in considerazione della possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impegnate, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa”; evidenziando per di più che costituire una nuova società quando ce n’era già una “in house” incaricata della gestione della piscina determinerebbe inoltre una duplicazione di alcuni costi. L’Amministrazione, oltre a contestare nel merito i motivi di ricorso, ha evidenziato in rito che difetterebbe l’interesse tutelato a agire in capo alla ricorrente, perché in qualità di società non lucrativa dovrebbe operare in un contesto non di mercato e quindi non avrebbe un interesse all’apertura del mercato stesso; inoltre perché il principio di rotazione (già previsto dall’art. 57, d.lgs. n. 163/2006 e riprodotto dall’art. 143, d.lgs. n. 50/2016) imporrebbe alle amministrazioni aggiudicatrici di non invitare una ditta uscente da una precedente gestione alla nuova procedura negoziata. La SGT Multiservizi ha invece eccepito in rito l’inammissibilità del ricorso perché la ricorrente non ha impugnato il provvedimento implicito di determinazione a contrarre della SGT Multiservizi a r.l.. Con ordinanza n.160 del 2016, questo Tribunale ha respinto l’istanza cautelare. All’udienza del 9 novembre 2018 la causa è passata in decisione. Preliminarmente il Collegio evidenzia che sussiste l’interesse a ricorrere atteso che la ricorrente era già gestrice del medesimo servizio pubblico prima della decisione dell’Amministrazione di procedere all’affidamento in house a una società dalla medesima posseduta indirettamente al 100%, sicché la medesima società è comunque un soggetto operante in quel settore e che ha interesse a gestire quel tipo di attività conforme ai propri scopi istituzionali, senza che su ciò possa incidere la circostanza che tali scopi siano di natura economica o meno. Peraltro, l’esistenza del principio di rotazione non esclude in radice che nel caso di specie in ipotesi di apertura al mercato la ricorrente possa essere l’unica interessata a gestire quel servizio e quindi l’Amministrazione possa astrattamente rivolgersi nuovamente a essa (cfr. Tar Piemonte sentenza 963 del 2018). La determina a contrarre poi è ritenuta in giurisprudenza un atto endoprocedimentale e quindi inidoneo a incidere all’esterno su posizioni soggettive dei terzi (Tar Lecce sentenza 2026 del 2014; Tar Trento sentenza 404 del 2016). Nel merito il ricorso è infondato. Il primo motivo è infondato. Il Consiglio di Stato ha recentemente ribadito (cfr. sentenza 1172 del 2018) che gli impianti sportivi di proprietà comunale appartengono al patrimonio indisponibile dell'ente, ai sensi dell'art. 826, ultimo comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell'interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive. La gestione di tali impianti è quindi connotata da tale irrinunciabile funzione di interesse pubblico e quindi è indubbiamente un servizio pubblico. Come noto, dopo l'abrogazione referendaria dell'art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008, è del tutto legittima l’internalizzazione dei servizi pubblici anche di rilevanza economica, essendo venuto meno il principio presente in tali disposizioni della eccezionalità della gestione diretta o in economia per tali tipi di servizio; salva l’applicazione della disciplina comunitaria che, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 325 del 2010), consente agli stati membri di prevedere con determinate cautele la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale. A tal fine, occorre poi considerare che l’affidamento a una società in house totalitaria dell’Ente pubblico realizza proprio una forma di gestione diretta al pari dell’uso di un proprio organo o servizio interno, poiché non v’è alcuna apertura al mercato né per la scelta del socio né per la scelta dell’affidatario (cfr. Tar Brescia sentenza 490 del 2015; Tar Trieste sentenza 629 del 2014; Tar Lazio, sentenza 6457 del 2016). Ciò premesso, non può ritenersi violato il disposto di cui all’articolo 2 della L.R.A. n.27 del 19/06/2012 (pur ammesso che tale normativa e quella nazionale di cui è attuativa, proprio in quanto speciali, non siano state superate dal sopravvenuto d.lgs. n. 50 del 2016), poiché tale articolo fa appunto espressamente salva la possibilità della gestione diretta da parte dell’Ente locale. Di recente, del resto, il Consiglio di Stato (con la surricordata sentenza 1172 del 2018) ha ribadito che la gestione di tali impianti sportivi può essere effettuata dall'amministrazione competente anche in forma diretta, oltre che mediante affidamento a terzi individuati con procedura selettiva. Il secondo motivo è infondato. E’ innanzitutto sufficiente rilevare che è configurabile un controllo analogo anche nel caso di cd. in house a cascata, cioè nel caso, come quello in esame, di partecipazione pubblica indiretta, in cui il pacchetto azionario non è detenuto direttamente dall’ente pubblico di riferimento, ma appunto indirettamente mediante una società (c.d. holding) posseduta al 100% dall’ente medesimo (cfr. Corte di Giustizia UE 11 maggio 2006 C-340/04; Consiglio di Stato parere 02583/2018 sezione prima adunanza del 10 ottobre 2018). Ai fini dei presupposti di validità dell’affidamento in house, poi, come noto, l’espressione “controllo” supera l’influenza sia pur dominante di diritto comune che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è in grado di esercitare sull’assemblea della società, poiché individua un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e con un’intensità non riconducibili ai diritti e alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile, spingendosi sino al punto che agli organi della società non resta affidata nessuna rilevante autonomia gestionale (Consiglio di Stato parere 02583/2018 sezione prima adunanza del 10 ottobre 2018; Cass., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26283). E la sussistenza di tale tipo di controllo deve essere valutata in concreto così come l’altro requisito di validità dell’in house consistente nella prevalenza dell’attività “intra moenia”, ossia che oltre l’80 per cento delle attività della persona giuridica controllata deve essere effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’ente controllante (cfr. art. 5, comma 1, lett. b d.lgs. n. 50 del 2016; Consiglio di Stato parere 02583/2018 sezione prima adunanza del 10 ottobre 2018). Ciò premesso, come rilevato dalla resistente, la questione relativa alla mancanza in concreto di un controllo analogo e di un limite all’attività “extra moenia” non eccedente il 20% non è stata posta in modo specifico e dettagliato con il ricorso introduttivo (ma solo irritualmente con successive memorie). A tal fine la ricorrente avrebbe dovuto estendere il gravame anche all’articolo 22 della neocostituita SSD in house, tanto più che, come evidenziato nel ricorso introduttivo, la delibera impugnata ha previsto espressamente il rispetto del succitato articolo 5 del d.lgs. n. 50 del 2016, e quindi dei requisiti previsti dalla legge per la validità dell’affidamento in house. Sempre in sede di atto introduttivo del giudizio, quindi, si sarebbe dovuto gravare espressamente lo statuto della SSD laddove adottato in contrasto con la menzionata delibera. Il terzo motivo è infondato. Si è già evidenziato che Consiglio di Stato ha recentemente ribadito che gli impianti sportivi di proprietà comunale appartengono al patrimonio indisponibile dell'ente, ai sensi dell'art. 826, ultimo comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell'interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive; che la gestione di tali impianti è quindi connotata da tale irrinunciabile funzione di interesse pubblico e quindi è indubbiamente un servizio pubblico; e che tale gestione può essere effettuata dall'amministrazione competente in forma diretta oppure mediante affidamento a terzi individuati con procedura selettiva (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 1172 del 2018). Ne consegue che non può dirsi violato neanche l’art.3, co. 27, della legge 244/2007, succitato, proprio perché nel caso come quello di specie, di gestione di un impianto sportivo attraverso la costituzione di una società in house direttamente partecipata, si tratta appunto di “società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi” che per quanto appena detto sono “strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali” (la gestione di un bene appartenente al patrimonio indisponibile). Infine anche il quarto motivo è infondato. Come rilevato dalle parti resistenti e controinteressate, la delibera impugnata è stata adottata il 12/08/2016 e pubblicata sull’Albo Pretorio il 17/08/2016, mentre la normativa invocata come parametro di legittimità con il motivo in questione è l’art.5 del d.lgs. 175/2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 210 del 8.9.2016, quindi in data successiva. La censura è pertanto infondata in quanto contraria al principio tempus regit actum, in base al quale la legittimità di un atto va verificata in base alla disciplina vigente al momento della sua adozione. Le spese possono essere compensate in ragione della complessità e peculiarità della questione trattata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2018 con l'intervento dei magistrati: Alberto Tramaglini, Presidente Renata Emma Ianigro, Consigliere Massimiliano Balloriani, Consigliere, Estensore IL SEGRETARIO
Sangio' Sambuceto Nuoto S.S.D. A R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Stefano Ilari, con domicilio eletto presso il suo studio in Pescara, via Misticoni 3;
S.S.D. S.G.T. Sport A R.L. non costituito in giudizio;