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Studio Legale Avv. Luca Presutti

Avv. Luca Presutti

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Italia

Dottore Specialista in Diritto Amministrativo e Scienza dell'Amministrazione

T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sentenza 19/02/2015, n. 84

2016-03-05 15:54

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Sussiste il conflitto di interessi ex art. 6 bis della legge n. 241/1990 del presidente della commissione esaminatrice di un pubblico concorso, dove ha partecip

MASSIME


1. In materia di riparto dell’onere della prova nel processo amministrativo, per un verso la parte ricorrente deve fornire la prova di tutti gli elementi sui quali si fonda la pretesa dedotta, e per altro verso le parti resistenti hanno l’onere di “specificatamente” contestare i fatti dedotti, con la conseguenza che da tale mancata contestazione deriva la possibilità per il Giudice di porre a fondamento della sua decisione anche i fatti non provati, ma non specificatamente contestati dalle parti costituite.


2. In materia di incompatibilità dei membri della commissione esaminatrice, il quadro normativo è oggi in parte mutato a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 6-bis della legge sul procedimento amministrativo - recentemente introdotto dalla L. 6 novembre 2012, n. 190 - che oggi impone a tutti i soggetti che a qualunque titolo intervengono nel procedimento amministrativo (formulando pareri, valutazioni tecniche e atti endoprocedimentali o adottando il provvedimento finale) di astenersi “in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”. Ne consegue che il legislatore ha coniato un canone di generale applicazione, che postula ineludibili esigenze di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento e l’alveo applicativo di tale principio va ricondotto alle determinazioni dal contenuto discrezionale, che implicano quindi apprezzamenti di stampo soggettivo che ben possono, anche solo in astratto, essere condizionati dal fatto che chi concorre all’adozione dell’atto versa nella vicenda un interesse personale.


3. In materia di pubblici concorsi, alle commissioni debbono applicarsi sia le cause di incompatibilità e di astensione del giudice codificate dall’art. 51 c.p.c., sia i principi costituzionali di cui all'art. 97, così come oggi recepiti e sviluppati dagli artt. 1 e 6-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241. Con la conseguenza che tutte le volte che sia ipotizzabile un potenziale “conflitto di interessi” il soggetto facente parte della commissione giudicatrice deve, innanzi tutto, segnalare al soggetto che lo ha nominato “tale situazione di conflitto, anche potenziale” e poi deve necessariamente astenersi.




REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo


sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 316 del 2014, proposto da: 
G. D'A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca Presutti e Carlo Costantini, con domicilio eletto presso Luca Presutti in Pescara, Via Firenze, 117; 


contro


Asl n. 2 di Lanciano-Vasto-Chieti, rappresentata e difesa dall'avv. Antonella Bosco, con domicilio eletto presso Maria Di Tillio in Pescara, Via C.Battisti, 229; 


nei confronti di


- A. P. e L. M., rappresentati e difesi dall'avv. Patrizia Cartone, con domicilio eletto presso Marcello Russo in Pescara, Via delle Caserme, 85; 
- (altri) non costituiti in giudizio; 


per l'annullamento


della deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, con la quale il Direttore Generale della ASL di Lanciano-Vasto-Chieti ha approvato gli atti del concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di due posti di collaboratore professionale sanitario - ortottista; nonchè degli atti presupposti e connessi, tra cui gli atti di nomina della commissione giudicatrice.


Visti il ricorso e i relativi allegati;


Visti gli atti di costituzione in giudizio della Asl n. 2 di Lanciano-Vasto-Chieti, di A. P. e di L. M.;


Viste le memorie difensive;


Visti tutti gli atti della causa;


Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2015 il dott. Michele Eliantonio e uditi gli avvocati Luca Presutti e Carlo Costantini per la parte ricorrente, l'avv. Antonella Bosco per l'amministrazione resistente e l'avv. Patrizia Cartone per i controinteressati;


Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


L’attuale ricorrente riferisce di aver partecipato al concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalla ASL di Lanciano-Vasto-Chieti per la copertura di due posti di collaboratore professionale sanitario - ortottista, ma di essere stata esclusa dalla selezione pubblica per non aver superato la prova scritta.


Con il ricorso in esame ha impugnato, unitamente agli atti presupposti e connessi, la deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, del Direttore Generale della ASL di approvazione della graduatoria e degli atti del concorso pubblico in questione.


Ha dedotto le seguenti censure:


1) che il Presidente della Commissione giudicatrice (dr. P.) avrebbe dovuto astenersi in quanto la dr.ssa M., classificata al quarto posto, è fidanzata da cinque anni con il proprio figlio ed il dr. P., classificato al primo posto, opera professionalmente presso lo studio privato del dr. P. sito nel Comune di Francavilla al Mare;


2) che era stato violato il principio della segretezza delle tracce d’esame, in quanto l’argomento estratto (“aprasia di Cogan”) era particolarmente specifico e solo i due predetti due candidati (la dr.ssa M. ed il dr. P.) avevano avuto il punteggio massimo (30/30), per cui tali candidati conoscevano in anticipo la prova d’esame; tali elaborati, peraltro, risultano copiati da un articolo, consultabile su internet, pubblicato su una rivista di psichiatria; mentre l’altra vincitrice del concorso (la dr. M., classificata al secondo posto) aveva confuso nel proprio elaborato il termine “aprasia” con “aplasia”;


3) che, pur essendo stato nominato un membro supplente, il Direttore Generale della ASL, a seguito della rinuncia del commissario Di N. intervenuta dopo la fissazione dei criteri di valutazione, aveva nominato un nuovo membro titolare nella persona della sig.ra La C., ortottista della ASL, che non ha reso la dichiarazione di insussistenza della condizioni di incompatibilità; pur avendo svolto alcune partecipanti al concorso attività di volontariato presso la ASL di Chieti i commissari La C. e S., che prestano servizio presso la stessa struttura, non si sono astenute;


4) che durante la prova scritta i partecipanti al concorso avevano comunicato tra di loro ed anche con l’esterno a mezzo di cellulari.


Tali doglianze sono state ulteriormente illustrate con memoria depositata il 12 gennaio 2015 e con memoria di replica depositata il 22 gennaio 2015.


La ASL di Lanciano-Vasto-Chieti si è costituita in giudizio ed, oltre a depositare tutti gli atti del procedimento, con memorie depositate il 17 novembre 2014 ed l’8 ed il 21 gennaio 2015, ha pregiudizialmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, dato che la ricorrente non aveva superato la prova scritta; inoltre, ha diffusamente contestato il fondamento delle censure dedotte.


Si sono anche costituiti in giudizio i due vincitori del concorso in parola (il dr. P. e la dr. M.), i quali, dopo aver anch’essi eccepito l’inammissibilità del ricorso, hanno diffusamente difeso la legittimità degli atti impugnati.


Il ricorso è stato notificato anche a tutti i candidati inseriti nella graduatoria finale, che non si sono costituiti in giudizio.


Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2015 la causa è stata trattenuta a decisione.


DIRITTO


1. - Con il ricorso in esame - come sopra esposto - l’attuale ricorrente, che ha partecipato al concorso pubblico per titoli ed esami indetto dalla ASL di Lanciano-Vasto-Chieti per la copertura di due posti di collaboratore professionale sanitario-ortottista, ha impugnato, unitamente agli atti presupposti e connessi, la deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, del Direttore Generale della ASL di approvazione della graduatoria e degli atti del concorso pubblico in questione.


La ricorrente, che non aveva superato la prova scritta, chiede nella sostanza l’annullamento dell’intera procedura concorsuale innanzi tutto per l’illegittima - a suo dire - composizione della commissione esaminatrice in quanto:


a) il Presidente della Commissione giudicatrice (il dr. D. P.) avrebbe dovuto astenersi dato che:


- la dr.ssa M., classificata al quarto posto, è fidanzata da cinque anni con il proprio figlio F. P.;


- il dr. P., classificato al primo posto, opera professionalmente presso lo studio privato del dr. P. sito nel Comune di Francavilla al Mare;


b) il Direttore Generale della ASL, a seguito della rinuncia del commissario Di N. intervenuta dopo la fissazione dei criteri di valutazione, aveva nominato un nuovo membro titolare nella persona della sig.ra La C., ortottista della ASL, pur essendo già stato nominato un membro supplente; tale membro della commissione, inoltre, non aveva reso la dichiarazione di insussistenza della condizioni di incompatibilità;


c) pur avendo svolto alcuni partecipanti al concorso attività di volontariato presso la ASL di Chieti i commissari La C. e S., che prestano servizio presso tale struttura, non si erano astenuti.


Chiede, inoltre, la ripetizione della prova scritta in quanto durante lo svolgimento di tale prova i partecipanti al concorso avevano comunicato tra di loro ed anche con l’esterno a mezzo di cellulari.


Deduce, infine, che era stato violato il principio della segretezza delle tracce d’esame, in quanto l’argomento estratto (“aprasia di Cogan”) era particolarmente specifico e solo i due predetti due candidati (la dr.ssa M. ed il dr. P.) avevano avuto il punteggio massimo (30/30), per cui tali candidati conoscevano in anticipo la prova d’esame; tali elaborati, peraltro, risultano copiati da un articolo, consultabile su internet, pubblicato su una rivista di psichiatria; mentre l’altra vincitrice del concorso (la dr. M., classificata al secondo posto) aveva confuso nel proprio elaborato la “aprasia” con la “aplasia”.


2. - In via pregiudiziale il Collegio deve farsi carico di esaminare le eccezioni di rito dedotte dalle parti resistenti, con le quali è stata dedotta la carenza di interesse della ricorrente all’impugnativa, per non avere questa superato la prova scritta. Ad avviso delle resistenti, in estrema sintesi, la c.d. prova di resistenza impedirebbe alla ricorrente di conseguire alcuna utilità dall’accoglimento del ricorso.


Tali eccezioni sono prive di pregio.


Va, invero, sul punto evidenziato che ove i vizi dedotti - sopra riassunti alle lettere a), b) e c) - fossero fondati l’illegittima composizione della commissione giudicatrice imporrebbe la ripetizione dell’intera procedura concorsuale, tra cui anche della prova scritta che la ricorrente non ha superato. Inoltre, la denunciata violazione del principio della segretezza delle tracce d’esame e l’illegittimo espletamento della prova scritta (per l’ipotizzata comunicazione da parte dei partecipanti al concorso tra di loro e con l’esterno) sarebbe anch’essa idonea, per altro verso, ad imporre la rinnovazione della prova scritta, alla quale la ricorrente potrebbe di nuovo partecipare.


Quanto, poi, alla violazione dell’obbligo di astensione da parte di membri della commissione giudicatrice ed all’impugnativa dell’atto di nomina della commissione giudicatrice di un pubblico concorso, va ricordato che - così come costantemente precisato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. per tutti e da ultimo T.A.R. Sicilia, sede Palermo, sez. II, 12 dicembre 2013 n. 2441, e sez. III, 14 settembre 2012 n. 1873) - tale atto non era impugnabile ex se, ma solo unitamente all’atto che per il singolo candidato ha determinato la conclusione della procedura concorsuale, dato che con l’approvazione della graduatoria si esaurisce il relativo procedimento amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dei partecipanti non vincitori.


Costituisce, invero, principio consolidato in tema di pubblici concorsi (come del resto, in tutte le pubbliche selezioni) quello secondo cui l’interessato è tenuto ad impugnare gli atti conclusivi della procedura, pena l’improcedibilità dell’impugnativa. Ciò in quanto, in assenza dell’impugnativa dei predetti atti conclusivi (cioè, dell’approvazione della graduatoria del concorso e della nomina dei vincitori), l’interessato non avrebbe alcuna utilità dall’eventuale conclusione favorevole del gravame proposto avverso l’atto di nomina della Commissione di concorso e quelli relativi allo svolgimento e alla correzione delle prove scritte (T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. III, 4 dicembre 2013, n. 10473).


E sul punto va rilevato che correttamente e nel rispetto dei termini decadenziali (decorrenti per la ricorrente dalla data della sua esclusione dalla procedura concorsuale) sono stati ritualmente impugnati gli atti sopra indicati.


3. - Una volta giunti a tale conclusione, possono utilmente esaminarsi le censure dedotte con il gravame.


In via pregiudiziale vanno esaminate le doglianze con le quale la ricorrente ha dedotto che il dr. D. P. (presidente della Commissione giudicatrice) avrebbe dovuto astenersi in quanto la dr.ssa M. era fidanzata da cinque anni con il proprio figlio F. P. ed in quanto il dr. P. operava professionalmente presso lo suo studio privato del dr. D. P. sito nel Comune di Francavilla al Mare.


Relativamente alla sussistenza in punto di fatto dei predetti rapporti, la parte ricorrente quanto alla dr.ssa M. ha versato in giudizio delle foto che ritraggono la concorrente con il figlio del presidente della commissione; mentre si è semplicemente limitata ad affermare, in quanto atto notorio, l’esistenza di rapporti professionali tra il dr. P. e lo stesso presidente della commissione.


Nel costituirsi in giudizio i controinteressati hanno nella sostanza dedotto che tali circostanze di fatto erano sfornite dell’imprescindibile supporto probatorio. Si è, inoltre, dedotto quanto alla dr.ssa M. che “per quanto è dato sapere” tale rapporto non era rilevante, dato che era azzardato sostenere che la concorrente in questione fosse anche “commensale abituale” con il dr. D. P. o che lo stesso l’avesse mai conosciuta; inoltre, si è affermato che non vi era prova certa della convivenza o della stabilità del rapporto, uniche circostanza che avrebbe potuto, in ipotesi, avere rilievo in questa sede. Quanto al dr. P. si è, invece, affermato che questi aveva “usufruito del supporto logistico di diversi studi medici … per le visite dei suoi pazienti” “senza alcun rapporto di collaborazione professionale, né di dipendenza contrattuale, ma con contratto autonomo con il paziente sia di carattere sanitario, che di fatturazione economica”, per cui non avrebbe potuto “assolutamente definirsi né amico, né collaboratore del dr. P.”; in definitiva, si è escluso che vi fosse mai stato un rapporto professionale “né di collaborazione, né di dipendenza tra il dr. P. ed il dr. P.”.


L’Azienda USL, a sua volta, senza aver preventivamente svolto alcuna ulteriore attività amministrativa interna al fine di accertare la veridicità di quanto denunciato, si è limitata anch’essa ad evidenziare che le predette circostanze erano “presunte ed indimostrate”.


Rileva il Collegio che - come è pacifico in giurisprudenza (cfr. per tutti Cons. St., sez. V 22 dicembre 2014 n. 6222 e 28 luglio 2014 n. 3973) - anche nel processo amministrativo vige il principio generale dell’onere della prova, stabilito in termini generali dall’art. 2697 cod. civ., secondo cui chi avanza una pretesa deve fornire la prova del fatto che la costituisce, con la conseguenza che i più ampi poteri istruttori riconosciuti al giudice amministrativo possono essere esercitati anche su sollecitazione delle parti, solo in ragione dell’incompletezza dell’istruttoria predisposta dalle stesse parti, ma non già allorquando una specifica deduzione non sia stata formulata ovvero nessuna prova (o, meglio, nessun inizio di prova) sia stato effettivamente fornito circa la verosimile fondatezza delle proprie tesi difensive.


Va, inoltre, ricordato che l’art. 64 del codice del processo amministrativo dispone testualmente che “spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità” e che il giudice possa porre a fondamento della decisione oltre alle prove fornite dalle parti anche “i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite” (così come del resto oggi disposto per il processo civile dal nuovo testo dell’art. 115 del c.p.c.).


In base a tale normativa, cioè, per un verso la parte ricorrente deve fornire la prova - anche in via presuntiva (Cons. St, sez. III, 12 gennaio 2015, n. 28, sez. V 22 dicembre 2014 n. 6233, e come anche di recente affermato da questa stessa Sezione con sentenza 30 aprile 2014 n. 204) - di tutti gli elementi sui quali si fonda la pretesa dedotta, e per altro verso le parti resistenti hanno l’onere di “specificatamente” contestare i fatti dedotti, con la conseguenza che da tale mancata contestazione deriva la possibilità per il Giudice di porre a fondamento della sua decisione anche i fatti non provati, ma “non specificatamente contestati dalle parti costituite”.


Partendo da tale considerazione, rileva il Collegio che nella specie le parti resistenti non hanno nella sostanza “specificatamente” contestato l’esistenza dei fatti dedotti nel ricorso (cioè che la dr.ssa M. era fidanzata da cinque anni con il dr. F. P. e che il dr. P. operava professionalmente presso lo studio privato del presidente della commissione sito nel Comune di Francavilla al Mare), ma si sono limitati a dedurre che tali circostanze di fatto erano sfornite del supporto probatorio; inoltre, quanto alla dr. M. hanno dedotto che avrebbero potuto in ipotesi assumere rilievo non il semplice fidanzamento, ma solo la convivenza o l’esistenza di rapporto stabile, che non risultavano dagli atti; mentre relativamente al dr. P. non si è “specificatamente” escluso che lo stesso abbia mai svolto la propria attività nello studio privato del dr. P., ma ci si è limitati a qualificare la natura giuridica dell’attività prestata in generale dal dr. P. negli studi dove aveva operato, che avrebbe sempre avuto la natura di lavoro autonomo/libero professionale.


Ciò posto, valutate le prove, anche di tipo presuntivo, fornite dalla ricorrente e diffusamente analizzate nelle ultime memorie da questa versate in giudizio, e considerato che è mancata una “specifica” contestazione ad opera delle parti costituite in ordine all’esistenza dei fatti in questione, la Sezione è dell’avviso che possano ragionevolmente ritenersi provati i seguenti fatti:


a) che via stata una relazione sentimentale tra il figlio del presidente della commissione di concorso ed una candidata;


b) che un candidato aveva svolto la propria attività lavorativa presso lo studio privato dello stesso presidente.


Partendo da tali circostanze il problema giuridico che il Collegio è nella sostanza chiamato a risolvere è quello volto ad accertare se le predette circostanza imponevano al presidente della Commissione di astenersi dal far parte della commissione di concorso.


Giova sul punto ricordare che la normativa generale in materia di procedure concorsuali (D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, recante le norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi), dispone testualmente all’art. 11 che i componenti della commissione “presa visione dell’elenco dei partecipanti, sottoscrivono la dichiarazione che non sussistono situazioni di incompatibilità tra essi ed i concorrenti, ai sensi degli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile”.


Tali articoli del codice di procedura civile, dispongono a loro volta - ai nn. 1 e 2 - che il giudice abbia l’obbligo di astenersi “se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto” e “se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori”.


Ed in applicazione di tali disposizioni la giurisprudenza, dopo aver premesso il carattere eccezionale di tali norme le rende insuscettibili di interpretazione estensiva e analogica, ha già costantemente chiarito che nel mentre l’appartenenza allo stesso ufficio del candidato e l’esistenza di un legame di subordinazione o di collaborazione scientifica tra i componenti della commissione e il candidato non rientrano nelle ipotesi di cui all’art. 51 c.p.c. (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, 17 novembre 2014 n. 5618 e sez. VI, 17 giugno 2014 n. 3049), ma potrebbero integrare al più un motivo di opportunità, che renderebbe l’astensione facoltativa e non una causa automatica ed obbligatoria di incompatibilità; ben diversamente, ha anche affermato che l’esistenza di legami professionali intensi e specifici e di un rapporto di natura professionale con reciproci interessi di carattere economico costituisce una giusta causa di incompatibilità che rende cogente l’obbligo di astensione (Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2014 n. 3366, e 30 aprile 2013 n. 2360).


Ugualmente - come di recente affermato (T.A.R. Lombardia, sede Milano, sez. I, 4 settembre 2014 n. 2307) - anche l’avere intrattenuto (sia pure in passato) una relazione sentimentale con una candidata costituisce un presupposto non irragionevole per disporre la revoca della nomina di un commissario, in quanto anche tale circostanza è astrattamente idonea ad offuscarne l’immagine di indipendenza di giudizio e di terzietà.


Va, peraltro, in aggiunta anche ricordato che il quadro normativo è oggi in parte mutato a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 6-bis della legge sul procedimento amministrativo - recentemente introdotto dalla L. 6 novembre 2012, n. 190 - che oggi impone a tutti i soggetti che a qualunque titolo intervengono nel procedimento amministrativo (formulando pareri, valutazioni tecniche e atti endoprocedimentali o adottando il provvedimento finale) di astenersi “in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.


Con tale disposizione - come è già stato chiarito (T.A.R. Campania, sez. Salerno, sez. II 17 marzo 2014 n. 580) - il legislatore ha coniato un canone di generale applicazione, che postula ineludibili esigenze di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento e l’alveo applicativo di tale principio va ricondotto alle determinazioni dal contenuto discrezionale, che implicano quindi apprezzamenti di stampo soggettivo che ben possono, anche solo in astratto, essere condizionati dal fatto che chi concorre all’adozione dell’atto versa nella vicenda un interesse personale.


Tale norma, va ulteriormente precisato, riguarda non solo chi è chiamato ad espletare compiti di natura gestionale, ma è applicabile anche alle commissioni giudicatrici nei concorsi pubblici, le quali debbono garantire anch’esse nella loro composizione “trasparenza, obiettività e terzietà di giudizio”, rappresentando questi dei principi irrinunciabili a tutela della parità di trattamento fra i diversi aspiranti ad un posto pubblico; pertanto, a tali commissioni debbono applicarsi sia le cause di incompatibilità e di astensione del giudice codificate dall’art. 51 c.p.c., così come interpretate dalla giurisprudenza - che, come sopra ricordato, ha esteso il principio dell’astensione a tutte le volte in cui si possa manifestare un “sospetto”, consistente, di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento - sia i principi costituzionali di cui all'art. 97, così come oggi recepiti e sviluppati dagli artt. 1 e 6-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241). Con la conseguenza che tutte le volte che sia ipotizzabile un potenziale “conflitto di interessi” il soggetto facente parte della commissione giudicatrice deve, innanzi tutto, segnalare al soggetto che lo ha nominato “tale situazione di conflitto, anche potenziale” e poi deve necessariamente astenersi (T.A.R. Sardegna, sez. I, 5 giugno 2013, n. 459).


Nel caso di specie, il Presidente della commissione, come già detto, aveva degli rapporti con due candidati che per un verso avrebbe dovuto segnalare al Direttore Generale dell’Azienda e per altro verso gli avrebbero imposto di non presiedere la commissione di concorso, in ragione dell’esistenza di un “sospetto”, da ritenersi consistente, di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento.


L’esistenza, infatti, di un rapporto sentimentale tra una candidata ed il proprio figlio e l’esistenza di un rapporto di natura professionale con altro candidato (sia pur di natura autonomo) che si svolgeva presso lo studio “privato” del sanitario in questione facevano certamente sorgere il “sospetto” in ordine alla “trasparenza, obiettività e terzietà di giudizio” ed imponevano di certo al presidente della commissione di astenersi dall’incarico.


La violazione di tale obbligo costituisce, ad avviso del Collegio, l’illegittimità a ragione lamentata con il ricorso.


In accoglimento di tale censura, vanno, pertanto, annullati l’atto di nomina della Commissione giudicatrice e tutte le operazioni svolte da tale commissione, nonché l’atto di esclusione della ricorrente dal concorso e l’atto deliberativo finale di approvazione degli atti del concorso.


4. - Ai fini della completezza del giudizio vanno, a questo punto, esaminate - sia pur sommariamente - le altre censure dedotte.


Nei confronti della composizione della commissione giudicatrice, la ricorrente - come già detto - ha dedotto che:


- il Direttore Generale della ASL, a seguito della rinuncia del commissario Di N. intervenuta dopo la fissazione dei criteri di valutazione, aveva nominato un nuovo membro titolare nella persona della sig.ra La C., ortottista della ASL, pur essendo già stato nominato un membro supplente; tale membro della commissione, inoltre, non aveva reso la dichiarazione di insussistenza della condizioni di incompatibilità;


- pur avendo svolto alcuni partecipanti al concorso attività di volontariato presso la ASL di Chieti i commissari La C. e S., che prestano servizio presso tale struttura, non si erano astenuti.


Entrambe tali censure sono prive di pregio.


Quanto alla prima, va in punto di fatto osservato che la sig.ra La C., contrariamente a quanto ipotizzato nel ricorso, risulta che abbia in realtà reso la dichiarazione di insussistenza della condizioni di incompatibilità. Inoltre, relativamente alla sua nomina in sostituzione di membro titolare dimissionario va ricordato che in base all’art. 6, n. 10 del D.P.R. 27 marzo 2001 n. 220, recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale nelle commissioni giudicatrici “per ogni componente titolare va designato un componente supplente” e tali supplenti, in base all’art. 9, comma 5, del predetto D.P.R. n. 487/1994, “intervengono alle sedute della commissione nelle ipotesi di impedimento grave e documentato degli effettivi”.


Il che comporta che, ove il membro titolare si dimetta dall’incarico (come è avvenuto nel caso ora all’esame) l’Amministrazione ben può procedere alla nomina di un nuovo membro titolare.


Per passare poi all’altra doglianza dedotta nei confronti della commissione giudicatrice, va anche rilevato che con riferimento a quanto sopra esposto, sembra evidente che non avrebbero dovuto astenersi i commissari La C. e S., che prestano servizio presso la stessa struttura ove avevano svolto il servizio volontario alcuni partecipanti al concorso. L’esistenza di un legame di subordinazione tra i componenti della commissione e i candidati non costituisce, infatti, secondo quanto già chiarito dalla giurisprudenza, una circostanza idonea ad imporre la loro astensione.


Rimangono, per concludere, da esaminare le censure con le quali ha ricorrente ha dedotto che durante la prova scritta i partecipanti al concorso avrebbero comunicato tra di loro ed anche con l’esterno a mezzo di cellulari e che sarebbe stato violato il principio della segretezza delle tracce d’esame, in quanto l’argomento estratto (“aprasia di Cogan”) era particolarmente specifico e solo i due predetti due candidati (la dr.ssa M. ed il dr. P.) avevano avuto il punteggio massimo (30/30), per cui tali candidati conoscevano in anticipo la prova d’esame; secondo la ricorrente, inoltre, tali elaborati risulterebbero copiati da un articolo, consultabile su internet, pubblicato su una rivista di psichiatria.


Tale censure, ad avviso del Collegio, non possono essere accolte in quanto sfornite dell’imprescindibile supporto probatorio.


L’Amministrazione resistente, infatti, nel costituirsi in giudizio ha smentito la veridicità di quanto affermato relativamente al fatto che i partecipanti al concorso avrebbero comunicato tra di loro ed anche con l’esterno a mezzo di cellulari e che sarebbe stato violato il principio della segretezza delle tracce d’esame; e, d’altro canto, la ricorrente nulla ha versato in giudizio in merito, neanche un atto notorio, che, in ipotesi, avrebbe potuto giustificare lo svolgimento da parte del Collegio di un’ulteriore attività istruttoria. Mentre, è pacifico, per altro verso che l’assenza di verbalizzazione sul punto, non avrebbe imposto la proposizione da parte della ricorrente di querela di falso (secondo quanto chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 20 novembre 2014 n. 32).


Infine, appare inammissibile per difetto di interesse e non può essere esaminata nel merito l’ultima censura dedotta in ordine copiatura degli elaborati dei predetti due candidati, dato che la ricorrente dall’eventuale accoglimento di tale censura non potrebbe trarre alcuna utilità. Mentre, ovviamente, restano salvi gli ulteriori accertamenti che, essendo stati segnalati dalla partecipante del concorso, dovrà espletare l’Amministrazione in merito, volti ad accertare anche eventuali responsabilità di tipo disciplinare.


5. - Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto nei limiti sopra indicati e, per l’effetto, deve essere annullata l’impugnata deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, del Direttore Generale della ASL di Lanciano-Vasto-Chieti di approvazione degli atti del concorso pubblico in questione.


Sussistono, per concludere, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio; salva l’integrale ripetizione del contributo unificato a carico dell’Azienda sanitaria.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)


definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti specificati in motivazione e, per l’effetto, annulla l’impugnata deliberazione 10 settembre 2014, n. 1173, del Direttore Generale della ASL di Lanciano-Vasto-Chieti.


Spese compensate.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:


Michele Eliantonio, Presidente, Estensore


Dino Nazzaro, Consigliere


Massimiliano Balloriani, Consigliere


DEPOSITATA IN SEGRETERIA


Il 19/02/2015


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